IL BAMBINO AL CENTRO DI OGNI PROCESSO EDUCATIVO - IL METODO MONTESSORI OGGI
Giovanna Cerruti Schiaffino durante l'intervista |
Intervista a Giovanna Cerruti Schiaffino
Un’ordinanza
ministeriale auspica la presenza, in tutte le scuole italiane, di sezioni che
adottano il Metodo Montessori. Tuttavia essa non ha trovato ancora grande
applicazione in quanto sono necessari insegnanti che siano qualificati per tale
metodo. La qualcosa non sempre c’è.
Non così in altre
nazioni europee e nel mondo dove la presenza di scuole con tale indirizzo
educativo sono molto più diffuse.
Nell’ambito del progetto “Procida-Il
mondo salvato dai ragazzini – Elsa Morante” ideato e curato dall’Associazione
culturale Kolibrì, in collaborazione con il Comune di Procida, la rivista
nazionale Andersen e l’Associazione Agita, e realizzato nelle scuole dell’isola
durante l’anno scolastico 2017-2018 con lo scopo di stimolare attraverso
laboratori creativi e incontri con autori di libri per ragazzi l’amore per la
lettura, abbiamo incontrato l’insegnante
Giovanna Cerruti Schiaffino
cofondatrice di ANDERSEN, il mensile italiano dedicato alla letteratura
e all’illustrazione per l’infanzia che promuove annualmente il Premio Andersen
assegnato ai libri per ragazzi e ai loro scrittori, illustratori ed editori. Ha
insegnato a lungo nella scuola elementare con Metodo Montessori, attivando
progetti di biblioteca scolastica e ideando numerose iniziative di promozione
della lettura in ambito educativo; tra queste il progetto nazionale “il
Sognalibro” per le scuole primarie e secondarie di primo grado, giunto nel 2018
alla sua XII edizione, e il progetto di educazione alla lettura per la prima
infanzia “Il tappeto narrante”.
Come è nata la passione per l’insegnamento e poi, nello specifico, per il Metodo Montessori?
Tutto è stato qualcosa
di molto graduale, segnato certamente da una ricerca verso ciò che più si
confaceva alla mia sensibilità. Devo però dire che fin da bambina mi piaceva
giocare alla maestra con mio fratello e i miei cugini. Ma non era tanto un
gioco in cui esprimere il ruolo di comando, quanto il desiderio di
anticipare visibilmente l’idea che un
giorno sarei diventata maestra.
Scuola Montessori |
Forse perché c’era una
tradizione familiare in tal senso?
No, nessun insegnante
nella mie due famiglie di origine. Ero attirata dall’idea della scuola più che
dall’insegnamento. Venivo da una famiglia di tradizione cattolica e mio padre,
socialista, era militare. Abitavamo in riviera a Santa Margherita Ligure. La
famiglia materna era emigrata in Argentina e mia nonna amava raccontarci con
entusiasmo quegli anni vissuti lontano dall’Italia. Ci diceva sempre che aveva
pianto quanto aveva lasciato l’Italia, ed aveva poi pianto quando decisero di
tornare in Italia.
Una figura
significativa nelle tua infanzia, questa della nonna.
Sicuramente la nonna
materna ha avuto una grande influenza nella mia vita. Stavamo spesso da lei a
Santa Margherita e, durante le vacanze, in campagna con i cugini. Donna libera
e anticonvenzionale, sicura di sé, aperta ai rapporti ci lasciava giocare nella
terra con grande libertà. Ricordo che scorrazzavamo felici arrampicandoci sugli alberi e inventando ogni
tipo di giochi. Le nostre giornate felici in quel paradiso che la nonna ci
offriva soprattutto in estate restano momenti essenziali della nostra formazione.
Ricordo che ogni giorno alle 17 in punto ci invitava a bere con lei una bevanda
tipica argentina, il mate. A questo rito seguiva immancabilmente un momento
altrettanto particolare: si accendeva una sigaretta dopo averla bagnata sulla
lunghezza e si dedicava alla lavorazione del pizzo al tombolo, un’attività
imparata da ragazza, che non aveva mai dimenticato. Noi restavamo incantati a
guardarla impegnata in una pratica così femminile che contrastava nettamente
con l’abitudine della sigaretta, inusuale non solo per l’età ma soprattutto per
la modalità che impediva alla cenere di cadere sul delicato pizzo.
Come affrontasti
l’esperienza scolastica?
Con entusiasmo. Fu come
continuare il gioco dell’infanzia, cambiava solo il ruolo non più maestra ma
alunna, ma tutto filava liscio, per cui finite le magistrali tentai subito di
realizzare il mio sogno partecipando al mio primo concorso per l’insegnamento.
Lo vinsi ed aspettavo l’incarico, che non arrivò subito ma nel 1966 a Genova in
una classe femminile della scuola elementare Giovine Italia dove vigevano
metodi tradizionali essenzialmente nozionistici, che poco si confacevano alla
mia idea di scuola. Avevo letto tanto nella preparazione al concorso e sapevo
che la pedagogia aveva fatto passi avanti ma nelle scuole italiane si era
ancorati a metodi ormai superati. Successivamente mi fu assegnata una classe
maschile e qui nacquero le mie prime difficoltà nella disciplina. Guardavo le
altre classi maschili, tutte affidate a insegnanti uomini, dove i ragazzi
sempre bene inquadrati marciavano come soldatini. Io non ci riuscivo. Chiesi
allora un consiglio ad un collega che aveva elaborato un suo personale metodo
didattico: fare scuola fuori dalle pareti scolastiche. Fu così che mi invitò ad
uscire con la sua classe all’aperto su una collina di Genova dove era solito
svolgere l’attività didattica durante tutto l’anno scolastico. Aderii subito e
ottenute le necessarie autorizzazioni, comprese quelle di tutti i genitori,
sperimentai che si poteva insegnare con poco, in quanto la natura ci offriva
grandi opportunità. Ma la cosa più significativa fu che il testo nasceva da
queste esperienze, un testo che per quei ragazzi era frutto della loro vita.
Dall’osservazione la conoscenza e dalla conoscenza il testo… un metodo che
affascinava gli alunni ed anche me.
Ci fu poi l’immissione
in ruolo.
Entrai
di ruolo nel 1970 e lì cambio tutto. Intanto erano state introdotte le classi
miste e c’era un programmazione standard. Ciò nonostante trovavo sempre quello
spazio di libertà per uscire da confini preordinati. Ricordo che con lo stupore
e la meraviglia dei colleghi e del direttore realizzai con gli alunni il primo
giornalino di classe e poi leggevamo,
leggevamo tanto. Tuttavia sentivo che dovevo trovare la mia strada e realizzare
quella dimensione nuova dove il bambino fosse al centro di ogni processo
educativo, realmente. Nei miei studi ero stata colpita dalla figura di Maria
Montessori, per cui volli approfondire questo metodo e specializzarmi. Mi misi
in aspettativa e frequentai un corso per sei mesi. Ne sono uscita trasformata e
conquistata.
Dicci un po’ qualcosa
di questa nuova esperienza e che cosa ti affascinò così tanto da farti decidere
di insegnare nelle sezioni dove si applicava tale metodo.
Prima di tutto la
centralità del bambino e di ogni bambino, con i suoi tempi e i suoi ritmi. Poi
la grande attenzione ai processi di autoformazione, un processo nuovo e
veramente rivoluzionario collegato strettamente alla “mente assorbente” del
bambino. Il bambino capta ciò che vede, ciò che osserva e possiede ciò che
sperimenta attraverso un processo personale di analisi e di sintesi. Perché
questo processo avvenga è necessario applicare i tre principi fondamentali del
metodo: l’ambiente, il materiale scientifico di sviluppo (sensoriale prima,
strutturato dopo), il maestro. Principi che diventano elementi fondanti del
processo educativo. Avevo sempre intuito che se il bambino o il ragazzo non
sente la mia stima o fiducia non si pone in connessione con me. Oppure se lui
pensa che il maestro seleziona, controlla, classifica e punisce,
inevitabilmente si crea una distanza con me insegnante ed è finita. I voti, in
tal senso costituiscono, nella fase evolutiva del bambino, un grande pericolo.
Il bambino per apprendere deve vivere con serenità il processo di apprendimento
nel rispetto del proprio ritmo e mai in competizione con altri. Si apriva
davanti a me una prospettiva grande e fui decisa a dare il mio contributo alla
scuola italiana applicando il Metodo
Montessori.
Qualcosa di più
sull’importanza dell’ambiente.
Nessun processo formativo
ed educativo può avvenire in ambienti sciatti, disordinati, indecorosi,
disarmonici e privi di stimoli specifici. Occorre armonia ambientale,
equilibrio persino nella disposizione dei mobili, silenzio, con stimoli visivi
e strumentali affinché il bambino possa sentirsi spinto ad autoeducarsi in
maniera spontanea, in un processo di autoformazione che non può essere uguale
per tutti. Fondamentale è la
consapevolezza che i bisogni vitali dei bambini pur della stessa età possono
essere molto diversi. Da qui la necessità di mettere a loro disposizione un
materiale scientifico ideato da Maria Montessori, strutturato in modo da
soddisfare interessi e bisogni che nascono in tempi diversi e si sviluppano in
modo diverso anche in bambini che frequentano la stessa classe.
Scuola Montessori |
Ma questa
diversificazione non porta una eccessiva
frammentazione e una certa confusione nella classe?
No, perché i bambini
sono l’uno diverso dall’altro e ciascuno vive nel suo personale mondo. Usare lo
stesso metodo per tutti non sempre funziona. Il maestro deve porsi come elemento di equilibro e far comprendere
che l’individualità ben vissuta non si scontra con la realtà sociale del gruppo
classe. Un bambino che si dedica ad approfondire un concetto usando un
particolare materiale alla fine, soddisfatto, lo lascia in ordine, perché sa
che esso potrà servire ad altri compagni per soddisfare in tempi e con ritmi
diversi gli stessi interessi e gli stessi bisogni in quel processo di
conoscenza, autoformazione e autostima che lui ha appena vissuto.
Prima parlavi di mente
assorbente, un concetto fondamentale per la Montessori.
La Montessori parla di
mente assorbente attraverso i 5 sensi. Un concetto scientifico non sempre
compreso e alcune volte sottovalutato con gravi conseguenze nel bambino. Una
scuola basata solo su ascolto e esercizio mentale con esercitazioni scritte
sicuramente realizza un metodo deficitario. E ci sono ragazzi che si bloccano
perché semmai hanno bisogno di esercitare altri sensi. Il tatto è
importantissimo nel processo di apprendimento così come l’olfatto, l’udito e
gli altri sensi.
Si lavora
essenzialmente in classe?
Sì, tutto avviene in
classe. Il lavoro a casa è minimo, solo per sistemare un lavoro iniziato in
classe o una ricerca rispetto ad un argomento che si vuole approfondire.
Applicando il Metodo
Montessori hai potuto sperimentare la realizzazione di quel bene relazionale che è alla base dei
rapporti umani e che dovrebbe costituire l’obiettivo primario di ogni processo
educativo?
Il bene relazionale è
intrinseco al Metodo Montessori, ne costituisce la premessa fondamentale. La
corretta relazione tra maestro e alunno tra alunno e alunno è la piattaforma
sulla quale si costruisce ogni processo. Logicamente il bambino arriva nelle
nostre classi da esperienze molto diverse dove i processi di apprendimento nei
primi anni di vita sono stati diversi e non sempre stimolati nella stessa
direzione. Per cui ci troviamo davanti a bambini che portano dentro realtà
diversissime; serenità, angoscia, conflitto, perdono, lealtà, slealtà… a
seconda dell’esperienza da cui provengono. Le difficoltà in tal senso non
mancano. Sta a noi maestri far sperimentare che si inizia a scuola un cammino
nuovo che pian piano deve coinvolgerli a
tal punto da portare ogni alunno a desiderare di ritrovarsi ogni giorno insieme
con gioia. Se qualche genitore ci comunica che il bambino non ama venire a
scuola, quello è un campanello di allarme in quanto significa che qualcosa non
sta andando bene. Ci si interroga e si cerca di individuare le cause: qualche
errore nostro, uno screzio col compagno, una conflittualità forte in famiglia…
Se ne parla insieme e si cerca di ristabilire l’armonia e la serenità. Sempre
il ragazzo al centro di ogni dinamica…
E per le valutazioni di
fine anno?
Mai voti, ma sempre
valutazioni discorsive dove mettiamo in evidenza il cammino percorso e le
capacità acquisite dal bambino. E sperimentiamo sempre che ogni bambino, chi
prima chi dopo, raggiunge quella maturazione degli obiettivi che ci siamo
prefissi.
Oggi sei in pensione.
Se dovessi fare un bilancio di questa tua esperienza cosa diresti.
Direi di aver vissuto
un’esperienza ogni giorno sorprendente. La mente del bambino è qualcosa di
straordinariamente grande. Aiutare la mente del bambino ad entrare nella
conoscenza è qualcosa che affascina e commuove. Bene orientato il bambino
sviluppa potenzialità inimmaginabili. Ricordo un bambino cinese che fu introdotto in una mia classe senza
sapere neanche una parola di italiano e immerso in un clima di accoglienza, di
rispetto e di condivisione in una settimana imparò i nomi dei compagni e le
principali parole di saluto. Ma la gioia più grande è aver sperimentato un
rapporto forte con i miei alunni. Ancora oggi molti di loro vengono a trovarmi.
Quella relazione di stima reciproca, di fiducia e di ricerca comune ha segnato
la mia vita ed anche la loro. Sento una profonda gratitudine per quanti, grandi
e piccoli, mi sono stati accanto in questa meravigliosa avventura.
A
cura di Pasquale Lubrano Lavadera
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