dal pensiero la parola
Del silenzio sono in circolazione due caricature prevalenti. La prima che lo vede come realtà inerte, improduttiva, quasi imbarazzante e comunque da superare presto, incontestabilmente coltivata da molti contemporanei, i quali evitano accuratamente sia di abitare la propria interiorità sia di mettere freno alla lingua, e, ancor più, al flusso ininterrotto di pensieri e immagini che scorrono nella mente come sopra un display.
La seconda versione caricaturale è quella che tesse l’elogio incondizionato del silenzio, e lo fa con tanto vigore da romanticizzare una realtà che è pur sempre ambigua.
Chi di noi, ad esempio, non ha mai avuto a che fare con il silenzio aggressivo di chi vuole sbatterci in faccia il suo disagio,, anche perché ce ne attribuisce la colpa?
Il silenzio ostile è tutt’altra cosa rispetto al silenzio ospitale che sperimentiamo nell’amicizia e nell’amore, ma anche nelle relazioni dove prevale la fiducia, il darsi credito, il rispetto.
Anche solo parlare sopra l’altro che parla, incalzarlo senza lasciare che termini il suo discorso, affilare le armi per rendere la risposta più d’effetto invece di seguirne il ragionamento, dice della difficoltà che tutti abbiamo di fare silenzio per fare spazio all’altro.
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