Quando la Scuola trova in sé il coraggio di percorrere strade nuove



INCONTRO CON LA PRESIDE DEL LICEO CLASSICO DANTE ALIGHIERI DI RAVENNA, GIUSEPPINA DI MASSA

 

È una nebbiosa giornata quanto varco per la prima volta l’imponente portone del liceo classico Dante Alighieri di Ravenna. Uno degli istituti più antichi della città con quattro indirizzi di studio (classico, linguistico, scienze umane, economico sociale), 1200 alunni e alunne, 120 docenti e un nutrito numero di personale ATA.

Si respira, subito, entrando un’atmosfera gioiosa e accogliente. Ragazzi che studiano nell’aula biblioteca, docenti che s’affrettano ad entrare in classe, persone che si avvicinano alla portineria…Niente di austero o immobile, ma l’effervescenza e la vitalità di un approdo. È questa la sensazione che provo e che mi spinge a vivere con ottimismo l’incontro con la Preside Giuseppina di Massa, con la quale ho fissato telefonicamente un appuntamento per l’intervista.

Avevo letto precedentemente sulle pagine del quotidiano La Repubblica un suo intervento che aveva suscitato in me grande interesse per un esperimento in atto in tale liceo, ed ero consapevole che avrei incontrato una persona che aveva avuto il coraggio di affermare la necessità di rinnovare la didattica per “motivare gli studenti, farli sentire bene a scuola, ridare loro fiducia”.

Mi dispongo pertanto favorevolmente all’incontro, in quanto  in un clima di generico appiattimento su obiettivi statisticamente registrati e classificazione degli Istituti secondo standard prestazionali, il Liceo Dante Alighieri di Ravenna ha scelto una strada nuova, orientata alla ricerca di una prospettiva che metta al centro la cura dello studente mediante una didattica attiva, laboratoriale, a classi aperte con un orario flessibile per impedire lo scoraggiamento degli studenti in difficoltà, aiutandoli  a sapersi organizzare e a gestire meglio il tempo .

Giuseppina Di Massa mi accoglie con apertura e piena disponibilità, avendo accanto a sé la Professoressa Lara Donatini, referente delle attività dell’area inclusione e docente nelle classi del progetto sperimentale in atto in questo anno scolastico 2022/23.

La prima domanda è proprio su questa scelta fondamentale di privilegiare l’alunno, ogni alunno ma in particolare quelli che trovano difficoltà negli studi.

Certamente assistiamo tutti dopo gli anni della pandemia ad una grande esitazione da parte dei ragazzi a riprendere il consueto ritmo di apprendimento. Non che prima non ci fosse, ma oggi riscontriamo un aumento del disagio giovanile e una maggiore resistenza ad una programmazione scolastica che fraziona le attività in unità orarie collocate in un rigido schema organizzativo, fatto di lezioni frontali, monodisciplinari. Per cui in una mattinata noi chiediamo ad uno studente questa variazione continua di materie, senza operare di volta in volta quella sedimentazione necessaria dei contenuti trattati, e sovente nell’impossibilità di verificare la piena acquisizione di quanto si è fatto. Gli stessi docenti si trovano spesso impossibilitati alla cura del rapporto interpersonale con i vari componenti di ogni singolo gruppo classe. Di conseguenza, soprattutto nelle “prime” abbiamo riscontrato difficoltà, demotivazione, sfiducia nelle proprie capacità, tentativi di abbandono scolastico. E ci siamo posti col l’intero corpo docente la domanda: cosa fare per ovviare a tutto ciò?

Nel panorama odierno non è facile trovare altri istituti che si sono posti queste domande, nonostante gli allarmanti dati statistici. Sappiamo infatti che, nello scorso anno, ci sono stati 74.000 studenti bocciati non per scarso profitto ma per le assenze e che circa 100.000 alunni hanno abbandonato gli studi nelle scuole superiori?

Le difficoltà di approccio scolastico, dopo la scuola secondaria di primo grado, ci sono sempre state, per cui nel nostro liceo opera da tempo una valida équipe psico-pedagogica con uno sportello psicologico, uno sportello di counseling e una specifica funzione strumentale. Negli ultimi anni, però, notavamo un crescente aumento di tali difficoltà, e soprattutto un “blocco relazionale” fra docenti e alunni che si traduceva in un blocco nell’apprendimento. Pertanto abbiamo insieme capito che bisognava fare qualcosa di più e ci siamo posti in ascolto degli studenti e delle famiglie.

Dire “ascolto” vuol dire tante cose?

Soprattutto implica un’intima disponibilità al cambiamento strutturale, per intraprendere percorsi sperimentali mai provati prima, sbloccando la rigidità dei rapporti tra docenti, tra docenti e alunni, tra docenti e genitori, per favorire l’incontro e l’apertura. Questo ci ha permesso di entrare nelle problematiche nuove che gli adolescenti oggi vivono per poi dare risposte efficaci e rispondenti ai loro bisogni, ed anche far dialogare le materie tra loro. Logicamente non potevamo partire da tutte le classi ed abbiamo cominciato una nuova esperienza con due classi del primo anno dell’indirizzo classico.

Una esperienza pilota quindi?

Sì. Abbiamo scelto due classi del primo anno perché in esse si inizia un percorso che poi potrà essere portato avanti negli anni successivi, e se i risultati dovranno, come spero, essere positivi, esteso a tutte le classi negli anni successivi.

Le difficoltà più grandi le avevate sperimentate soprattutto nelle “prime”?

I ragazzi provengono da scuole medie diverse e noi tutti sappiamo che il livello di maturazione, pur essendo classificato con una singola valutazione, è molto variabile da studente a studente. Non esiste un livello uguale per tutti. La personalità dello studente è unica e nessun essere umano è uguale ad un altro. Quindi già nelle prime classi noi ci troviamo dinanzi ad una platea molto ma molto diversificata. C’è chi ha maturato bene la capacità di osservazione, chi di logica, chi di memoria, chi di analisi, chi ha sviluppato molto la volontà, chi la creatività... Le risposte degli studenti quindi dipendono molto dal livello di partenza di ciascun allevo, e risultano diversificate, né d’altra parte il docente, per come è strutturato il processo didattico, riesce sempre ad organizzare interventi individualizzati efficaci, soprattutto quando le classi sono di 25, 27 o più alunni. Di conseguenza nel biennio di ingresso, che coincide ancora con la fascia dell’obbligo scolastico, si registrano maggiori difficoltà, anche a livello psicologico. Il numero di discipline all’interno di una mattinata, di un singolo periodo valutativo, gli stessi testi scolastici comportano, fin dal primo anno, un sovraccarico cognitivo notevole che non tiene conto assolutamente di questa difficoltà, ossia della reale situazione che un ragazzo o una ragazza di 14 anni vive quando inizia il liceo. Ma anche nelle “terze” all’inizio del triennio troviamo difficoltà simili.

Possiamo quindi supporre una Scuola che didatticamente è lontana dalla realtà che vive lo studente?

Per certi aspetti sicuramente. Pertanto abbiamo compreso che dovevamo partire dal capitale umano che essi portavano nella scuola e non sottovalutarlo, bisogno di autonomia, di integrità, di interdipendenza, di stima, fiducia. Capitale umano che va conosciuto e accolto con tutti i limiti e i tentennamenti tipici di un adolescente. Personalmente aver insegnato per alcuni anni in zone a rischio, con alunni provenienti da ambienti sociali precari e segnati da disfunzioni sociali, mi ha fatto sperimentare che portare avanti un progetto educativo e formativo a prescindere dalla realtà era una pura illusione. Bisognava spesso scendere in quelle piaghe di certe periferie degradate per incontrare questi alunni e insieme risalire su un piano di lavoro possibile e più dignitoso… Inoltre c’è in tutti noi la consapevolezza che l’adolescenza è una condizione umana di passaggio con i risvolti connessi, per cui se vogliamo veramente offrire a questi nostri alunni quello che loro hanno diritto ad avere, non possiamo imbottirli del nostro sapere, senza comprendere se esiste già la capacità di accogliere quanto doniamo. L’obiettivo della scuola è grande, ma è anche una sfida: rendere ogni giovane libero e responsabile, capace di affrontare la vita nel settore scelto con le competenze necessarie. Per raggiungerlo occorre creare le premesse psicologiche e relazionali opportune.

Come dicevamo prima senza però prescindere dal livello di partenza

Certamente. E qui che spesso ci troviamo in difficoltà come docenti, perché la crescita intellettiva e cognitiva degli alunni di una classe non è la stessa per tutti. Quindi “ascolto” per comprendere il livello di partenza e poi “realismo” per l’attuazione del piano di offerta formativa recepibile dallo studente. Il tutto però in questo sblocco relazionale senza il quale nessun passo avanti è possibile. Dobbiamo creare le condizioni affinché lo studente si fidi di noi. Essi devono sapere, varcando la soglia del Liceo, che possono trovare qui persone disponibili in un rapporto di condivisione e di ricerca comune.

Di qui la nascita del progetto…

Nel nostro lavoro, spesso, notiamo discrepanze procedurali, impostazioni teoriche e fredde, ma non si ha il coraggio di aprire spazi sperimentali. E si aspettano i cambiamenti dall’alto. Di fronte alla sofferenza del sistema e alle grosse richieste di aiuto che venivano dalle famiglie e dai ragazzi stessi, spesso implicite, abbiamo capito che non potevamo aspettare e abbiamo iniziato con le risorse che avevamo  nella ricerca e nella sperimentazione… Sono convinta che un movimento di rinnovamento non può avvenire dall’alto ma deve nascere dal basso dai singoli istituti, per cui abbiamo preso le opportune decisioni da sperimentare, garantiti dal dettato costituzionale che ci invitava a rimuove le cause che ostacolavano un percorso didattico  positivo. Siamo partiti da una variabile pedagogica importante: il tempo. Un contenitore e abilitatore di approcci e strategie basati sui principi di una didattica attiva, laboratoriale, che rende gli studenti protagonisti dell’apprendimento. Orario flessibile, classi aperte, compattazione oraria dividendo le discipline in due blocchi: gruppo umanistico i primi tre giorni della settimana e gruppo scientifico gli altri due giorni. Si lavora insieme per piccoli gruppi offrendo agli studenti di entrambe le classi esperienze di studio collettivo, dove anche i docenti si confrontano e condividono il lavoro, attività in compresenza prevedendo anche lezioni interdisciplinari, outdoor education, laboratori scientifici, di traduzione, di recupero e di approfondimento. Le materie non sono rigidamente separate. Si lavora soprattutto a scuola per impedire che sorgano demotivazioni e frustrazioni. A casa si completa il lavoro che è iniziato nel gruppo.

In sostanza un vero capovolgimento del piano didattico?

In realtà se analizziamo con attenzione l’impostazione didattica della Scuola odierna, ci accorgiamo che essa  è ferma ad una strutturazione che oggi non risponde più alle esigenze della nostra società. Dal punto di vista strutturale poco è cambiato dalla scuola di cento anni fa, senza tener conto che le nuove generazioni vivono una vita completamente diversa da quella che vivevano i loro nonni e bisnonni e che gli approcci allo studio non possono essere quelli di un tempo. Gli stimoli, le esperienze umane, le tecnologie, le agenzie di comunicazione sono molto diversi dal passato. Inoltre lo sviluppo della psicologia della persona in questi ultimi 50 anni ha fatto comprendere, sul processo formativo, realtà prima sconosciute, per cui senza un’opportuna conoscenza della psicologia dell’apprendimento è quasi impossibile interagire con le nuove generazioni.

Quali i risultati ottenuti fino ad oggi

È presto per poter dare una valutazione complessiva dell’esperienza in atto. Ma c’è in tutti noi una grande speranza. Noi abbiamo puntato a limitare sia l’abbandono e le assenze, sia la dispersione implicita, ossia la perdita a livello delle conoscenze.  Non basta dire a un ragazzo sfiduciato: devi studiare; lo studente deve trovare un motivo profondo per farlo. Il primo passo deve farlo la Scuola attraverso i docenti che devono creare quella giusta e corretta relazione con gli studenti e fare in modo che in questo rapporto, l’esperienza del docente e le esigenze del giovane si incontrino. E sia ben chiaro che tutto quanto stiamo operando non è finalizzato ad acquisire meriti e medaglie. Ripeto che la Scuola è una sola e ogni istituto ha il dovere di tentare il tutto per tutto per aiutare i ragazzi a non perdere la fiducia in se stessi e nel proprio futuro, pertanto stiamo facendo i primi passi sperimentando, cercando soluzioni alternative col consenso delle famiglie, per poi donarli a tutti. Di fronte a ogni tentativo di classificare le istituzioni scolastiche, dobbiamo ricordare che quando si lavora con gli esseri umani ogni classificazione può essere fuorviante se non attentamente analizzata e contestualizzata. Lo studente o la studentessa che entra in un istituto deve sentirsi profondamente accolto e deve capire che quello spazio che lo Stato gli offre “è per lui e non contro di lui”: anche gli errori sono un valore e noi tutti che operiamo nella scuola siamo tenuti a dare valore a l’intero potenziale umano che uno studente presenta, compreso gli errori, indipendentemente dai talenti che ciascuno porta: chi uno chi due chi tre. Nessuna classifica quindi al Liceo Dante Alighieri di Ravenna e a tutte le istituzioni scolastiche che stanno sperimentando strade nuove per venire incontro alle esigenze più vere e più giuste delle nuove generazioni.

A cura di Pasquale Lubrano Lavadera


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