Marilisa Mancino: Sapere, saper fare, saper essere con gli altri

 

Marilisa Mancino

SAPERE, SAPER FARE, SAPER ESSERE CON GLI ALTRI

Intervista alla Dirigente Scolastica MARILISA MANCINO

Marilisa Mancino, attuale Dirigente scolastica dell’istituto comprensivo E.Ibsen di Casamicciola Terme - Napoli, ha lavorato in questi ultimi anni come Dirigente nei seguenti istituti: Direzione didattica di Zola Predosa - Bologna dal 2015 al 2018 Istituto comprensivo “Tullio de Mauro” Roma, dal 2018 al 2020 e dallo scorso anno all’Ibsen di Casamicciola.

Le abbiamo rivolto alcune domande, in questo inizio di anno scolastico, partendo dalla cosiddetta “crisi della scuola”, evidenziatasi proprio nel lungo periodo del Covid: esperienza che ha costretto  alla didattica a distanza, nel coinvolgimento non sempre positivo di alunni, docenti e famiglie.

La crisi della scuola dopo la lunga e deludente  esperienza della didattica a distanza ripropone oggi una serie di domande sulla didattica scolastica, sull’importanza del ruolo educativo della scuola. Il tuo pensiero al riguard .

La scuola si è dovuta attrezzare in pochissimo tempo all’attivazione  della didattica a distanza potendo contare  su docenti  non sempre formati all’uso delle nuove tecnologie, ma sempre pronti ad accogliere le sfide, nel caso specifico i necessari aggiornamenti  metodologico- didattici per l’utilizzo delle nuove tecnologie.  Ricordo che a marzo 2020 ( lavoravo a Roma),nel giro di 4/5 giorni abbiamo creato gli account agli alunni e ai docenti per avviare la didattica a distanza , utilizzando  in particolare  le videolezioni . La discussione sulla validità o meno della didattica a distanza o, come successivamente è stata chiamata didattica digitale integrata necessiterebbe di una conversazione a parte. Quello che posso dire è che la scuola ha cercato di essere vicina a tutti gli alunni, dalla scuola dell’infanzia all’Università, con risultati non sempre positivi, ma, ripeto,  impegno da parte di tutte le componenti interessate: personale scolastico, famiglie ed alunni. Le reazioni degli alunni/studenti, soprattutto dei più piccoli, non sono state le stesse: per molti di loro il processo educativo e formativo si è completamente bloccato, in particolare per quelli che non hanno avuto famiglie in grado di supportarli. La didattica a distanza purtroppo ha aumentato le differenze tra gli alunni che con la scuola in presenza si cerca, al contrario,   di eliminare. Durante gli ultimi due anni non sempre la scuola ha esercitato un ruolo educativo perché i docenti, a volte condizionati anche dalle stesse famiglie, temevano di non portare a termine il “programma”. Come dirigente scolastico, durante il periodo della didattica a distanza, ho sempre di cercato di tranquillizzare i docenti che lamentavano la mancata trattazione di tutti i contenuti della loro disciplina spronandoli  invece alla conservazione della relazione che avevano con i loro alunni per far sentire loro la vicinanza della scuola durante un momento così particolare.

E’ molto importante questa tua considerazione sulla relazione. Lo psicologo Pietro A. Cavaleri afferma nel suo libro “Vivere con l’altro” che  l’educazione al “bene relazionale” dovrebbe essere la prima disciplina di insegnamento in tutte le scuole, di ogni ordine e grado.

Imparare con gli altri è sicuramente uno dei principi ai quali si deve attenere e deve tendere la scuola. Tutto ciò che viene “co-creato” in gruppo ha un valore aggiunto rispetto a quello che si impara da soli. Voglio dire che imparare insieme non è semplicemente la somma di ciò che si impara da soli. Il peer tutoring e il cooperative learning migliorano l’apprendimento sia degli alunni con difficoltà di apprendimento e di disturbi della condotta, ma anche del tutor, dell’ “alunno esperto” che fa da guida  ai compagni in difficoltà e  sviluppa le sue abilità metacognitive.  

Le prove INVALSI hanno in certo modo affossato quel principio costituzionale di una scuola per tutti a misura di ciascuno, che si fa carico delle realtà problematiche presenti oggi più che mai nella scuola dell’obbligo. Da pura indagine statistica necessaria per avere un quadro obiettivo della situazione, esse hanno assunto il ruolo valutativo sulla bontà o meno di un determinato processo di apprendimento.

Le prove standardizzate INVALSI, visti soprattutto i risultati degli ultimi due anni, condizionati probabilmente dalla pandemia, dovrebbero essere riviste per avere una validità . Le prove non accertano i livelli di competenza degli alunni, questi possono essere verificati solo mediante compiti di realtà , ma i livelli di apprendimento in italiano, matematica e inglese. Credo che possano essere utili all’istituzione come autovalutazione d’istituto e per progettare un reale piano di miglioramento, sempre che non vengano utilizzate in maniera autoreferenziale.

Il ritorno del voto è diventato un indiretto invito a riproporre la competizione all’interno del processo educativo in barba ai grandi insegnamenti della Montessori e di don Milani.

I bambini e i ragazzi vanno a scuola per “sapere,  saper fare ma soprattutto “saper essere” aggiungo io  “con gli altri”. Il voto non deve essere la finalità dell’apprendimento; il voto è la misurazione di una prestazione, ma molto spesso viene confuso con la valutazione di uno studente; quasi sempre i ragazzi studiano solo perché devono assicurarsi la sufficienza oppure migliorare il proprio voto, ma in questo modo si perde la finalità dell’istruzione. Dalle Indicazioni nazionali del 2012 emerge chiaramente l’importanza della valutazione formativa, che utilizza la valutazione sommativa ( i voti), ma considera tutti gli altri aspetti del  processo di insegnamento - apprendimento (impegno, motivazione, progressi personali) e deve essere preferita e considerata dai docenti come un punto di arrivo.

Ritengo comunque che la valutazione nella scuola sia il processo più complicato  e risulta fondamentale la formazione pedagogico didattica dei docenti che non possono ridurre la valutazione di uno studente a una mera media matematica.  

La valutazione delle competenze, come accade in molti paesi europei dovrebbe essere descrittiva, non numerica. A partire dallo scorso anno scolastico nella scuola primaria la valutazione degli apprendimenti è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a quattro differenti livelli di apprendimento: in via di prima acquisizione , base, intermedio e avanzato.

L’aspetto positivo della valutazione descrittiva mediante i livelli di apprendimento è che, a differenza del voto, non esiste valutazione negativa ed è utile allo studente per migliorarsi.

 

Condivido pienamente la necessità di ritornare alla valutazione  descrittiva, convinto anche, dall’esperienza di lunghi anni di insegnamento nelle medie, che nella valutazione non debba esserci valutazione negativa, ma misurazione dei livelli di apprendimento raggiunti o meno, offrendo sempre all’alunno la possibilità di capire che può superare un eventuale stallo o un impedimento didattico. Come tu affermi, è questa metodologia del docente che alla fine risulta “utile allo studente per migliorarsi”.

Un’ultima domanda sui compiti delle vacanze che  sono diventati un vero e proprio stillicidio per le famiglie soprattutto quando i ragazzi non sono in grado di svolgerli da soli.

 

I compiti in generale, anche quelli giornalieri e settimanali, dovrebbero essere un momento di riflessione su quanto appreso a scuola e gli studenti dovrebbero essere in grado di svolgerli da soli. I bambini e i ragazzi hanno diritto al riposo e al gioco; potrebbero essere assegnate delle letture interessanti,  delle attività laboratoriali e creative da svolgere mediante l’utilizzo di abilità espressive e logico matematiche, ma a mio parere dovrebbero essere assolutamente evitate  le attività ripetitive e quelle cosiddette “riempiquaderno”.

A cura di Pasquale Lubrano Lavadera

 

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