La Preside Maria Monaco Parascandola
La preside Maria Parascandola Monaco in terza fina (la prima da sinistra) |
Fu la Preside Maria Monaco Parascandola ad accoglierci il primo giorno di Scuola Media, in un pomeriggio di sole ottombrino. L'atmosfera era solenne e tetra insieme: un'aula rettangolare del secondo piano dell'imponente frabbricato, le cui finestre affacciavano su un lussureggiante giardino. Come sempre il nuovo mi atterriva più che entusiasmarmi.
Lo sguardo e la mia mente erano rivolti a
quella figura alta e austera che era
entrata in aula con compunzione, quasi senza far rumore e con movimenti
misurati e docili mentre ci rivolgeva il saluto con un accenno di sorriso:
"Benvenuti nella scuola media! Oggi per
voi è l'ingresso nella scuola che vi aprirà le porte per il futuro. Avrete i
vostri insegnanti, uno per ciascuna disciplina. La docente di italiano non è
stata ancora nominata dal Provveditore agli Studi e pertanto la sostituirò io
in attesa che arrivi quanto prima. Io come Preside della scuola dovrò occuparmi di tutto l'andamento
scolastico, per cui la mia presenza qui con voi è un eccezione. Ho pensato di
iniziare oggi con una poesia…Avrete
tutti imparato a memoria qualche poesia alle elementari…Vi domanderete perché sono così importanti le poesie. So che
a voi piacciono più i racconti, perché un racconto narra un fatto, un
avvenimento, un'avventura, mentre la poesia è tutto un altro genere di
scrittura…"
La Preside si fermò, come se volesse
indirittamente sollecitare un nostro possibile intervento. Ma nessuno fiatò.
Avrei voluto alzarmi e dire davanti a tutti quello che zia Luisa, un
giorno, mi aveva insegnato tanti anni
prima mentre mi leggeva la poesia Pianto antico di Giosuè Carducci, ma me ne mancò il
coraggio e restai sconfortato e confuso
nel mio banco.
Non ricordo cosa disse la Preside sulla poesia,
perché mi ero rifugiato nel passato per vincere l'insicurezza del presente.
Ritornai ad essere presente solo quando vidi la donna prendere un grosso
libro e, dopo averlo sfogliato, fermarsi
ad una certa pagina, dicendo:
"Leggeremo una poesia di Aleardo
Aleardi, Che cosa è Dio.
Dio? Avevo udito bene? Non avevo fatto
catechismo ma quella parola mi era risuonata forte quando era morto mio
fratello e nei racconti della Bibbia che in alcuni pomeriggi mamma amava
raccontarci. Ma non m'aspettavo che Dio potesse entrare anche nella poesia. Mi
posi pertanto all'ascolto con attenzione.
Nell'ora che nel
bruno firmamento
comincia un
tremolìo
di punti d'oro,
d'atomi d'argento,
guardo e domando:
- Dite, o luci belle,
ditemi, cosa è
Dio?
"Ordine",
mi rispondono le stelle.
Quando all'april
la valle, il monte, il prato,
i margini del
rio,
ogni campo dai
fiori è festeggiato,
guardo e domando:
- Dite, o bei colori,
ditemi, cosa è
Dio?
"Bellezza",
mi rispondono quei fiori.
Quando il tuo
sguardo innanzi a me scintilla,
amabilmente pio,
io chiedo al lume
della tua pupilla:
- Dimmi, se il
sai, bel messagger del core,
dimmi, che cosa è
Dio?
E la pupilla mi
risponde: "Amore!
La
voce della Preside chiara e suadente cadeva
nelle nostre menti con la forza incisiva
che lei riusciva a dare ad ogni parola. Ogni strofa una pausa, un
accento diverso che davano risonanza alla domanda finale e alla relativa risposta.
Rimasi ammutolito e nello stesso tempo affascinato dal ritmo melodioso
di quei versi. Mai nessuno fino a quel momento ni aveva donato con tale solennità
la lettura di una poesia, per cui mai avrei immaginato di poter rimanere
abbagliato dai versi di un poeta.
L'esperienza era solo all'inizio. Dopo la lettura ci fu il successivo
commento che la Preside fece dopo ogni
brano, evidenziando la densità di quelle parole.
Mi
sentii immerso nell'universo con una percezione nuova e quel cielo stellato che
fin da piccolo mi aveva sempre incantato mi apparve in tutta la sua potente
bellezza, e così pure quei giardini fioriti in una natura splendida, e quel
sentimento di amore così ardentemente avvertito come necessario alla mia
esistenza. Neanche in chiesa avevo mai
sentito Dio così vicino a me.
Lei
ci guardava negli occhi uno ad uno per capire dai nostri sguardi la comprensione o meno delle
sue parole.
Quel
momento resta incancellabile e vibra in me con la potenza incorrotta di
allora, Senza che me ne accorgessi percepivo la bellezza di quel Dio misterioso
di cui mamma ci aveva sempre parlato.
Quell'ora volò via con la rapidità di un lampo per cui provai solo il timore del tuono che ci sarebbe stato subito dopo. Ma la Preside fu parca e ci disse solo di rileggere la poesia a casa e scrivere qualche pensiero personale scaturito dalla comprensione di quei versi.
Per
più giorni la Preside ritornò nell'ora
di italiano e sempre si ripeté quella sorta di magia fatta di silenzio e di attenzione di fronte
alla sua presenza.
Fin
quando rimanemmo in quel palazzo fu lei a dominare la scena. Non ricordo gli
altri docenti né i volti anonimi dei miei compagni. La sua presenza incuteva
rispetto e amore insieme per cui ne uscivo sempre con una pienezza interiore e
intimamente appagato.
Un
altro episodio si staglia netto nella mente fra tutti gli altri, un'altra
poesia, un altro poeta, nella presa di
coscienza che esistevano i compagni con una loro storia, spesso dolorosa come
la mia.
Nella classe regnava un aria di attesa e
dalla finestra la luce del sole
pomeridiano infiammava i volti del folto gruppo di alunni. Sulla cattedra
ancora lei, che leggeva una poesia del poeta Giovanni Pascoli, Romagna:
Sempre un
villaggio, sempre una campagna
Mi ride al
cuore o piange, Severino:
il paese
ove, andando ci accompagna
l'azzurra
visione di san Marino…
Il suono cadenzato e lento dei versi ci
trasportava in un mondo sconosciuto, avventuroso e lontano. Nessuno tra noi
aveva mai posto piede fuori dell'isola,
eppure in quella descrizione di arie familiari lontane, di immagini domestiche,
si riviveva o si rimpiangeva quella che era la condizione di vita attuale o
perduta.
Da' i borghi
sparsi le campane intanto
Si
rincorrono coi loro gridi argentini:
chiamano al
rezzo, alla quiete, al santo
desco
fiorito d'occhi di bambini.
La Preside raccontava, chiariva il
significato di quelle parole nuove e inusitate e rendeva visibile quel desco fiorito
di occhi di bambini ed io vedevo con la mia mente il tavolo dove ci riunivamo
come famiglia per il pranzo e la cena, quel tavolo in cui un posto ora rimaneva
vuoto.
Mentre la Preside continuava il suo commento
ai versi, uno dei compagni, smilzo e minuto, si alzò dal banco per avvicinarsi
alla cattedra. La preside si chinò per ascoltarlo e il compagno, dopo averle
sussurrato alcune parole nell'orecchio,
si abbandonò tra le sue braccia in un pianto convulso.
Restammo ammutoliti e sorpresi: nel silenzio
assoluto che si creò nella classe, nacque istintivamente in me un dolore per
quel compagno afflitto: quale segreto nascondeva quel pianto? Un'altra morte?
Il ragazzo ritornò al suo posto e la Preside
continuò a inondarci con i versi del poeta:
Romagna
solatia, dolce paese…
Ma ora essi si allontanavano e svanivano,
nel mente lampi di pensieri e domande si affacciavano nella mia mente: ogni
parola volava nella mia mente per sentieri lontani da quelli in cui la Preside
cercava di inoltrarci
La lezione terminò quando il sole era ormai
tramontato. Ci ritrovammo in strada esistanti e perplessi, come se quel
pomeriggio a scuola non volesse chiudersi. Poi, come per una reazione a catena,
improvvisa circolò la notizia: La mamma di Luigi è malata di mente, il papà è
navigante e lui deve fare da mangiare per i fratellini.
Quale triste e inimmaginabile scoperta:
anche una mamma poteva ammalarsi così tanto da non sedere mai al tavolo con i
figli. E avvertii nell'animo un
sentimento di sconfinata benevelonza verso Luigi. Nascevano così i miei primi
timidi rapporti sulla condivisione dei dolori che ci squassavano.
Quelle prime lezioni con la Preside
restarono memorabili e, quando anni dopo ebbi modo di incontrarla in altra
circostanza, mi venne spontaneo
raccontargli quei due momenti per me molto significativi.
Lei mi fu grata e nacque un rapporto profondo che ho portatao
avanti fino agli ultimi giorni della sua vita.
da Pasquale Lubrano Lavadera, Credo fosse spemto il mio fuoco, 2021
Commenti
Posta un commento