ERNESTO un alunno demotivato e con scarsa volontà






Ernesto arrivava spesso in classe in ritardo ed era spesso distratto, pensava ad altro e non poche volte creava disordine. Non ero riuscito ancora a neutralizzare la sua corazza che respingeva ogni mio tentativo di connettermi con lui. Aveva quasi 13 anni.
L’avevo  ripreso più volte anche duramente davanti ai compagni, ma senza risultati. Rifiutava il rapporto con me e di conseguenza con la matematica. Un alzata di spalle e via. Sfidava la mia autorità, anzi sembrava contento di manifestare la sua sfrontatezza e la sua indifferenza di fronte al resto della classe.
Abbastanza amareggiato pensavo che il suo atteggiamento potesse influire negativamente sugli altri alunni e temevo di perdere quell’autorevolezza  necessaria per portare avanti la classe.
Pur avendo conosciuto il linguaggio dei sentimenti e dei bisogni che la comunicazione empatica pone a base di ogni azione educativa, avevo una certa riluttanza ad applicarlo.
Infatti, un giorno in cui ero più teso di altre volte, di fronte alla sua continua sfrontatezza, dopo averlo richiamato a voce alta, per farmi ascoltare dai compagni ho gridato con veemenza:
“Questa settimana  non hai lavorato per niente, sembra che a te non importi il lavoro scolastico…Il tuo comportamento è deplorevole, Prenderemo un serio provvedimento nei tuoi confronti…”
Lui sorrise ironicamente: mi sembrò che provasse piacere a farmi soffrire.
In qual momento andai letteralmente in crisi. Dovevo uscire da questa trappola, ma quale strada adottare?
Una voce dentro di me mi sollecitava: “Perché non provi ad esprimere le tue esigenze vitali e il tuo desiderio di apprezzamento da parte sua per il lavoro che fai per la classe e anche per lui.”
Ma farlo davanti  alla classe o in un rapporto personale? Lasciai passare un po’ di giorni e trovandomelo di fronte gli chiesi di fermarsi un attimo alla fine della lezione perché avevo qualcosa da dirgli.
Fu sorpreso perché non se l’aspettava, ma non rifiutò l’invito, per cui alla fine della giornata ci portammo nel laboratorio di scienze che era vuoto in quel momento. Lo invitai a sedere.
“Ernesto, ho notato che questa settimana ti sei assentato più di altre volte e non hai prodotto alcun lavoro… Questo fatto mi amareggia perché io ho bisogno della tua partecipazione… Io sono qui per tutti voi  e anche per te…Vorrei che anche tu potessi beneficiare del mio lavoro…darti qualcosa che possa servirti per la vita…”
Mi fermai un attimo, volevo vedere la sua reazione. Inizialmente abbassò lo sguardo. Poi mi  fissò, quasi incredulo senza però l’atteggiamento sprezzante che solitamente assumeva. Al che aggiunsi:
“Si Ernesto per portare avanti il mio lavoro nella classe ho bisogno di sentire la tua presenza nella classe come quella degli altri. Soffro molto nel non poter dare a te quello che do ai tuoi compagni….Vorrei  che tu mi aiutassi a non provare questa sofferenza…”
Lui mi guardò ancora con un certo stupore e notai una luce nuova nei suoi occhi,  ma non riusciva ancora ad esprimere il suo sentire. Ci salutammo.
Il giorno dopo non si presentò a scuola. Non sapevo a cosa pensare: l’ipotesi peggiore non volevo metterla in conto. Ingenuità da oarte mia: un docente deve essere pronto anche al fallimento dei suoi tentativi.
Invece Ernesto s'era preso solo una pausa e l'indomani l’indomani  sedette al suo banco e aprì il quaderno.
Lui aveva sentito nel mio parlare sempre e solo le critiche, il giudizio feroce sul suo comportamento e aveva investito le sue energie in tattiche di autodifesa o di contrattacco.
Forse, avendo messo da parte ogni giudizio e cercato solo di parlargli col cuore, palesandogli il mio dolore nel vederlo così distante, e creduto ancora nella sua capacità di un cambiamento, aveva trovato in sé la forza  di rispondermi diversamente. Alla mia mano tesa lui aveva risposto offrendomi la sua collaborazione.
Forse, ma ora l'importantre che era con noi tutti a scuola con atteggiamento diverso
Fu una grande lezione di vita per me, perché mi convinsi che ogni alunno  deve sentire palpitare l’amore del docente per lui.
Nell’esprimere i miei sentimenti e nel sentire  che soffrivo per  il suo disinteresse avevo frantumato quella resistenza che lui mi opponeva. Ernesto mi aveva riconosciuto come il suo professore di matematica e si era connesso per la prima volta con me, per offrirmi quell’aiuto che io gli chiedevo.


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