I bambini e i giovani non vanno umiliati

Luigino Bruni
I bambini e giovani non vanno umiliati allo scopo di farli diventare umili. L’umiliazione provocata dagli altri non produce umiltà, ma mille malattie del carattere. La sola umiliazione buona è quella che ci arriva dalla vita senza che nessuno ce la procuri intenzionalmente. Si preparano i bambini e i giovani all’umiltà mettendoli in contatto con la bellezza, con l’arte, con la natura, con la spiritualità, con la poesia, con le fiabe, con la grande letteratura.
È incontrando l’infinito che ci si scopre finiti, ma abitati da un soffio di eternità, e quando l’esperienza di toccare l’infinito è accompagnata dalle espressioni più alte dell’umano, la finitezza non schiaccia, ma eleva, il limite non mortifica, ma fa vivere. Quando alziamo gli occhi e sentiamo il cielo “infinito e immortale”, si forma in noi il terreno dove l’umiltà può sbocciare.
Nell’umiltà si vede nella sua massima espressione una legge universale che ritroviamo al cuore di molte virtù e di altre cose grandi della vita: si diventa umili veramente senza accorgersene. L’umiltà arriva mentre cerchiamo altro: la giustizia, la verità, l’onestà, la lealtà, l’agape. Non può essere programmata, ma può essere desiderata, stimata, attesa come dono dalla vita. E attendendola prima o poi arriva, sorprendendoci. E spesso giunge nei momenti di maggiore debolezza, dopo un fallimento, un abbandono, un lutto, quando da dentro l’umiliazione fiorisce l’umiltà. L’amore per l’umiltà è alla base di ogni vita buona, perché consente di non appropriarsi delle proprie virtù e dei doni ricevuti.

L’umiltà è una virtù “indicibile”, ed è radicalmente relazionale: sono solo gli altri che possono e devono riconoscere la nostra umiltà, e noi riconoscere la loro, in un gioco di reciprocità che costituisce la grammatica della buona vita civile. È invisibile, ma realissima, e la sappiamo riconoscere – anche se non siamo altrettanto umili, anche se non lo siamo affatto ma desideriamo esserlo: desiderio di umiltà è già umiltà.
I suoi frutti sono inconfondibili. Il primo è la “gratitudine”sincera nei confronti della vita, degli altri, dei propri genitori, che nasce dalla consapevolezza che i miei talenti, i miei meriti, la mia bellezza, sono dono, “charis”, grazia. L’umiltà è prendere atto della verità sul mondo e sulla vita. Nasce naturalmente, è un atto dell’anima, non richiede sforzi della volontà, è il riconoscimento di quanto emerge un giorno come evidente. Si capisce che nelle cose più belle e grandi la nostra parte è molto piccola, infima, perché ciò che siamo e possediamo lo abbiamo semplicemente ricevuto dalla generosità della vita.

Tutto è grazia. Ma per arrivare a questo atto naturale e radicale di gratitudine è necessario un esercizio etico di amore alla verità, che dura tutta l’esistenza adulta, e termina – con quell’ultimo atto di gratitudine – quando ci si congeda, solo riconoscenti e finalmente umili, da questo mondo. L’umiltà allora non è altro che accesso a una verità più profonda. Per questo è un dono immenso.
L’umile è sempre grato. I suoi “grazie”, rari perché preziosi, nascono dalla consapevolezza della bellezza e della bontà di chi gli vive accanto – c’è una bellezza più profonda e più vera delle persone e del mondo che si svela solo agli umili. E solo l’umile sa pregare.

Il valore di un’intera esistenza si misura dall’umiltà che è riuscita a generare. L’umiltà è fondamentale per vivere e resistere durante le grandi prove. Quando la vita ci fa cadere e tocchiamo la terra (humus), non ci facciamo troppo male e riusciamo a rialzarci se abbiamo imparato a conoscere la terra e siamo diventati suoi amici. Senza umiltà non si raggiunge nessuna eccellenza umana, non si apprende bene nessun mestiere, non si diventa mai veramente adulti. È l’ultima parola di ogni Cantico delle creature.
Luigino Bruni

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